Negli ultimi 50 anni l’agricoltura e la campagna hanno cambiato il volto millenario che avevano. L’industrializzazione dell’agricoltura (contraddizione in termini) ha molto impoverito l’ambiente, il paesaggio, il tessuto economico del territorio e lo scambio diretto di beni agricoli e alimentari; anche nella nostra regione la produzione si concentra su pochissime colture: mais e soia soprattutto. Una situazione insostenibile: si acquistano le sementi, i concimi e altri prodotti chimici dalle multinazionali, per poter rendere sostenibile economicamente le produzione vengono erogati contributi europei, si consumano enormi quantità di acqua, e di fatto il prezzo finale del prodotto viene stabilito dalla borsa di Chicago. La divisione del lavoro, elemento chiave della produzione industriale (come a tutti noto, già affermato nel primo libro della Ricchezza delle nazioni di Adam Smith) non sempre può essere effettivamente considerato il metodo più razionale e soprattutto più sostenibile, in particolare per l’agricoltura.
Per cogliere nel modo economicamente migliore e ambientalmente sostenibile le opportunità che la campagna offre, l’attività agricola dovrebbe avere una caratteristica il più possibile a ciclo completo e autosostenibile. In sostanza un’attività integrata: coltivazione, trasformazione e commercializzazione, concimi e sementi il più possibile autoprodotti, autoproduzione di energia rinnovabile in forme diverse con l’obiettivo dell’autonomia energetica, utilizzo razionale dell’acqua, diversificazione delle colture e delle attività. Inoltre nel contesto rurale sono possibili molte altre attività collegate: attività di ristorazione, turistiche, del tempo libero, di servizio alle persone. Un’agricoltura come quella sopra descritta, che utilizza le migliori tecnologie non invasive, la migliore organizzazione, che produce alimenti sani e di qualità, può stare sul mercato e fare concorrenza alle produzioni alimentari industrializzate, con OGM, omologate nei gusti e nella preparazione? La sfida è nelle mani in particolare dei giovani agricoltori che stanno scegliendo la strada che è stata abbandonata più di 50 anni fa dai loro nonni. Non per riprendere le condizioni di allora ma per creare quella nuova simbiosi tra ambiente e uomo, con una produzione alimentare rispettosa e sostenibile, con l’orgoglio di produrre cose buone e sane, con la speranza che in futuro la terra ritrovi quell’equilibrio naturale che ci consenta di continuare a vivere serenamente in questo pianeta.
Edo Billa