In Italia la L. 138 del 1974 vieta la detenzione, la produzione e la vendita di «prodotti caseari preparati con latte fresco o liquido destinato al consumo alimentare diretto o alla preparazione di prodotti caseari al quale sia stato aggiunto latte in polvere o latti conservati con trattamenti chimici o comunque concentrati”. Da un paio d’anni questa norma è nell’occhio del ciclone: nel 2013 infatti, un europarlamentare italiano ha presentato una interrogazione chiedendo alla Commissione Europea se tale normativa italiana fosse, o meno, conforme al diritto dell’Unione. Sollecitata dall’interrogazione, la Commissione ha avviato le relative verifiche e, recentemente, ha inviato una lettera di contestazione all’Italia, assegnando al nostro Paese il termine di due mesi per presentare le proprie osservazioni in merito.

La Commissione avrebbe dunque rilevato la violazione di un obbligo derivante dal diritto dell’Unione europea e la possibile necessità, per l’Italia, di procedere a una modifica della L. 138/1974 per  adeguarsi alla Direttiva CE (n. 2011/114/CE come modificata dalla Direttiva 2007/61/CE), la quale mira a garantire la libera circolazione all’interno della Comunità Europea di alcune tipologie di latte conservato parzialmente o disidratato, stabilendo norme comuni a tutti gli Stati membri. La nostra normativa dunque, costituirebbe una restrizione alla “libera circolazione delle merci”, in quanto il latte in polvere e i suoi derivati sarebbero prodotti comunemente utilizzati negli altri Stati membri. Se l’Italia non risponderà alla lettera della Commissione entro i termini (già comunque prorogati al mese di settembre 2015) o comunque non sarà in grado di fornire chiarimenti ritenuti soddisfacenti, la Commissione la diffiderà ad adempiere modificando la L. 138/1974. È pur vero che, qualora la procedura d’infrazione attivata dalla Commissione dovesse effettivamente andare a confermare la violazione dalla normativa europea da parte dell’Italia, ciò non intaccherebbe la produzione dei prodotti caseari classificati come DOP, relativamente ai quali la stessa Comunità Europea proibisce l’utilizzo di «materie prime diverse da quelle previste dai disciplinari», ossia del latte in polvere o altri surrogati.

Ulteriormente, è evidente che una modifica della normativa che in Italia preclude, sostanzialmente, l’utilizzo di latte in polvere o concentrato per la preparazione dei prodotti caseari, non andrebbe a “imporre” al nostro Paese la produzione di “formaggio senza latte”, come alcuni quotidiani hanno riportato nei mesi scorsi, ma attribuirebbe unicamente ai produttori una facoltà di scelta. Cercando dunque di evitare toni allarmistici e in attesa del riscontro dell’Italia alla Commissione Europea, non si può tuttavia non rilevare che l’apertura del nostro mercato nazionale a prodotti caseari caratterizzati dall’utilizzo di “surrogati” provocherebbe l’ingresso, nel nostro Paese, di grandi quantitativi di latte in polvere e derivati a prezzi estremamente ridotti, con ripercussioni evidenti per i produttori italiani. Gli stessi allevatori dunque verrebbero verosimilmente a operare a loro volta una corsa al ribasso dei prezzi per tutti i prodotti non dotati di certificazione DOP; essi inizierebbero dunque a produrre formaggi, yogurt e prodotti caseari non più in linea con le caratteristiche, a livello di materie utilizzate e di sicurezza alimentare, alle quali oggi gli italiani, e non solo, sono abituati.

Margherita D’Este